Case per cooperative

Nell’ambito del più complesso Piano Particolareggiato di Piansevero, contenuto nel PRG del ’64, De Carlo progetta e realizza per una cooperativa il primo corpo di fabbrica. L’organismo è compatto e reinterpreta, nel contesto del Piano, il modello dell’Unité d’Habitation di Marsiglia. Lo caratterizzano il tetto piano, la sua elevazione dei piani degli appartamenti e una coppia di scale esterne che movimentano la facciata e richiamano il contesto urbinate.

Questo nuovo insediamento, collocato nella vallata opposta a Urbino, verso il confine settentrionale del Montefeltro, è di dimensione piuttosto vasta. Del progetto complessivo De Carlo ha realizzato soltanto il primo corpo di fabbrica (quello sotto le case i quattro samurai). L’organismo architettonico, rivestito in mattoni alternati al cemento, è caratterizzato dalla successione di blocchi-scala che alimentano gli accessi privati degli appartamenti. Infatti, sulla facciata principale a terrazze continue che guarda verso valle sono state distribuite, insieme ai garage, le due entrate civiche. Questa facciata è, di fatto, il fronte pubblico. Gli accessi veri e propri e i blocchi-scala vengono invece sistemati nella parte interna e privata dell’edificio, alla quale si accede da percorsi pedonali. Su ogni piano dei blocchi-scala l’ingresso è comune a due abitazioni a doppio affaccio. Da un cancello, situato ad un livello più alto rispetto al piano dell’edificio, ci si immette direttamente nel giardino. Dal piccolo parco, l’organismo architettonico si innalza dietro gli alberi quale testimonianza di una presenza umana rispettosa e discreta.
La distribuzione degli elementi strutturali è geometricamente bilanciata: le scale esterne, sebbene siano il naturale contrappunto alla linearità della facciata, non ne alterano l’aspetto modulare. L’organismo rispecchia l’idea morfologica del Palazzo Ducale: le scale, elemento dominante, come i torricini, sono disposte sul retro e, pur nel loro segno stilizzato, come quelli assegnano verticalità e prospettiva all’edificio.
Le scale, tuttavia, sono anche una citazione diretta della soluzione formale pensata da Le Corbusier per l’Unité d’Habitation di Marsiglia e riproposte qui su disegno di una giovane collaboratrice Valeria Fossati Bellani.
Sfruttando la pendenza del terreno il progettista sistema i garage verso valle: il livello, che dalla facciata principale appare come il primo balcone, è invece un piano vuoto, appendice estrema del giardino. Lo stabile, benché corpo compatto, acquista tuttavia una connaturata leggerezza, non determinata dai materiali in sé, quanto dalla loro combinazione con la luce. D’altro canto, alla base del piano della zona vi è uno studio dettagliato dell’ambiente; in particolare dell’orientamento del sole e dei diversi momenti di minore o maggiore illuminazione durante la giornata e nelle varie stagioni. La luce naturale diviene l’elemento plasmante l’intera composizione; il ritmo stesso è stabilito dal grado di luminosità, dai tratti in ombra in opposizione a quelli illuminati. La parete delle scale che conducono ai garage, sottolinea ulteriormente il ruolo assunto dalla luce: la fascia in vetro fa sì che i raggi del sole penetrino metaforicamente la barriera di cemento. De Carlo mostra qui come un materiale per sua natura pesante e spesso anche a ragione denigrato, in quanto assunto dall’opinione comune come esempio archetipico di violenza sulla natura, possa, se adeguatamente utilizzato, amalgamarsi ad essa senza contraddirla. In generale, l’atto architettonico non si pone come vittoria sulle forze meccaniche ma come processo che si compie nello spazio e nel tempo, come ricerca infine di un equilibrio tra uomo e ambiente, costruito e naturale, materia, opera umana e storia.









