Facoltà di Economia

Il recupero del Palazzo Battiferri per la Facoltà di Economia rappresenta l’ultimo progetto di De Carlo sulla via Saffi. La sua inaugurazione è avvenuta a quasi cinquant’anni dall’avvio dei primi lavori nella vicina Sede Centrale. Il progetto ha previsto l’unione di diversi edifici, anche attraverso l’inserimento di due torri-scala rivestite con ampi vetri riflettenti. Una cavea seminterrata accoglie l’Aula Magna, mentre la biblioteca è ospitata nel grande e luminoso refettorio posto al piano più elevato.

La Facoltà di Economia, ricavata da Palazzo Battiferri, è l’insieme di più edificazioni sovrapposte e distribuite intorno a corti interne e ad un giardino pensile; il complesso è collocato sullo stesso versante della Facoltà di Legge, quasi dirimpetto alla Facoltà di Magistero e poco più sotto della Sede Centrale. Esso pertanto, rappresenta il punto d’approdo della ricerca progettuale decarliana per quanto riguarda non solo il recupero delle strutture universitarie, bensì anche per gli interventi su questa importante area del centro storico caratterizzata da una certa austerità architettonica degli edifici, per lo più di origine monastica.
Il nucleo principale, l’ex monastero delle Benedettine fu edificato nel XIV secolo; nel Seicento venne annesso anche il contiguo Palazzo Brandani, costruito nel 1560 all’angolo tra le vie Piave e Saffi. Il complesso comprende inoltre l’oratorio di San Benedetto, consacrato nel 1569, ma innovato a stucco nel XVIII secolo.
L’ingresso principale resta quello settecentesco, situato alla fine del vicolo su via Saffi (n. 42), già accesso al convento e in seguito agli istituti scolastici che vi hanno avuto sede dopo il 1860 e fino al 1970 circa. Dal vicolo si accede anche all’oratorio, convertito dal progetto decarliano in un’aula per le lezioni, ma del quale rimane intatto l’impianto originale. Dell’ambiente sacro viene recuperata anche la grata dell’abside, un tempo esile legame tra le vite celate delle benedettine e il mondo esterno.
Una volta dentro l’edificio, il primo elemento ad attirare l’attenzione è la torre di vetro che riflette e dilata le immagini della realtà circostante; dall’atrio si passa in un secondo ambiente: a sinistra viene collocata l’Aula Rossa, di fronte invece, oltre il portico si dispiega il giardino pensile, sotto il quale viene ricavata l’Aula Magna. Durante i lavori di scavo sono emerse alcune murature bizantine, una parte delle quali costruite con recupero di materiale romano. Il muro è stato smontato e rimontato al livello del giardino dove viene messo in esposizione (oggi tuttavia rimosso).
Dal giardino è inoltre visibile la grande finestra della biblioteca, realizzata applicando la sezione aurea, che ripete la Finestra del Gallo di Palazzo Ducale sullo stesso fronte prospettico cittadino (il rapporto fra le due aperture è ben visibile dal Collegio del Colle, percorrendo il ballatoio che circoscrive il volume d’entrata).
L’Aula Magna è una grande cavea gradonata seminterrata, rivolta verso la via Piave e illuminata da cinque lucernari circolari e da un sesto lineare; vi si può accedere sia dall’interno dell’edificio, che da ingressi propri da via Saffi e da via Piave. Essa ha una capienza di 250 posti; le entrate indipendenti permettono un uso della sala anche quando l’istituto è chiuso.
Al primo livello viene invece ricavato uno spazio per conferenze e proiezioni: l’Aula Blu. È questo un ambiente molto particolare, in stretto rapporto con la sottostante Aula Rossa. Le due aule, entrambe pensate con un sistema di soppalchi, possono essere utilizzate anche come un unico ambiente. Infatti dall’Aula Blu è possibile ascoltare cosa succede sotto, nell’Aula Rossa, attraverso due cavità nella parete di fondo che catturano il suono dalla sala sottostante e lo amplificano al piano superiore. Così, coloro che sono nell’Aula Blu vedono la lezione virtuale proiettata nello schermo, ma ascoltano la voce reale dell’oratore catturata dalle due cavità. Per isolare le sale è sufficiente chiudere le porte dell’Aula Rossa al livello superiore. Purtroppo, questa funzione non è stata mai attivata.
I piani superiori sono scanditi da spazi gli uni diversi dagli altri: grandi vani, con ampie aperture sulle colline circostanti come la biblioteca, sono intercalati da ambienti più piccoli come quelli del sottotetto (dal quale si ha un’ottima vista dall’alto del Magistero). L’intervento si completa con una particolare attenzione agli arredi (curati in collaborazione con Monica Mazzolani).
Le soluzioni formali utilizzate nei recuperi precedenti, vengono qui riformulate e organizzate insieme: come alla Facoltà di Legge è stato ricavato uno spazio fornito di lucernari con un giardino quale copertura; come al Magistero tale spazio è un auditorium; come nella Sede Centrale c’è un legame con reperti storici che vengono esposti. Ogni elemento (la grande cavea, le torri-scala, le mura romane, l’oratorio e così via), vive di un valore in sé stesso assoluto. Qui il rapporto con la storia si complica: elementi strettamente contemporanei e tecnologici (le torri scala, i lucernari) coesistono con elementi molto antichi, ma gli uni e gli altri mantengono una propria valenza, sono indipendenti.
Nonostante ciò, l’aspetto che emerge in questo intervento è l’identità tra il concetto di spazio e il concetto di movimento.
Il movimento è dato dalla frequenza di piani obliqui e intersecanti, aggettanti e rientranti, dallo sviluppo dell’edificio in diverse direzioni, dall’asimmetria, dall’alternarsi di vuoti e di pieni. Lo stesso movimento è ancora dato dalle relazioni che intercorrono tra i vari ambienti seppure autonomi; relazioni che si affidano alle percezioni sensoriali di coloro che fruiranno della struttura architettonica. Si pensi alla grata dell’oratorio che permette dal vano retrostante non solo di vedere nell’interno, ma anche di ascoltare; la stessa cosa accade nella sala che dà sull’Aula Rossa. E dunque, la visione si configura non come rapporto tra un oggetto e un soggetto entrambi immobili, fermi, ma piuttosto come risultante essa stessa di due movimenti: quello dello spazio costruito e quello di chi sta vivendo tale spazio.
Una fruizione attiva e dinamica è caratteristica di tutta l’opera di Giancarlo De Carlo: chi vive l’architettura è sempre al centro dello spazio costruito poiché è l’agente che trasforma tale spazio in luogo. Ciononostante, in questo intervento è la forma stessa che nasce dalla condizione di moto; come annunciava un insegnamento del Bauhaus: «Le forme sono il contenente del movimento, il movimento è l’essenza della forma».












