Facoltà di Legge

La Facoltà di Legge, inserita in un convento del XVIII secolo già utilizzato per scopi civili, è il primo episodio del progetto di espansione dell’Università previsto dal PRG del 1964 nei grandi edifici religiosi collocati nella parte meridionale del centro storico. Nuovi e moderni spazi, insieme a quelli conventuali recuperati, accolgono aule, uffici e una grande biblioteca.

La realizzazione della Facoltà di Legge rientra nel progetto di espansione dell’Università; progetto che si sviluppa in stretta collaborazione con gli organi amministrativi della città. Il piano, promosso dall’Ateneo, aveva tra i suoi principali obiettivi, la riorganizzazione delle nuove sedi universitarie in antichi edifici, collocati nella zona meridionale del centro storico.
L’organismo architettonico scelto è un convento del XVIII secolo, disposto su due piani intorno ad una corte interna, usato dopo il 1850 come orfanotrofio. Il passo iniziale per il recupero è stato quello di rimuovere tutte le parti aggiunte e ripristinare l’antica intelaiatura strutturale. In seguito, partendo dalle indicazioni espresse dai docenti per una migliore attività didattica e di ricerca, il progetto si espleta sia operando sui locali preesistenti, sia creandone di nuovi. In tal modo, De Carlo lavora al restauro dell’intero edificio e, contemporaneamente, anche ad una «operazione di scavo» per ottenere due ampi vani sotto le zone corrispondenti alla corte interna e al nuovo giardino, ricavato da un terreno adiacente a pianta trapezoidale.
L’ingresso, fornito di una porta scorrevole che protegge l’entrata quando la facoltà è chiusa, è enfatizzato dalla corte murata, sul fronte dell’edificio, e dalle dieci cupole dei lucernari circolari che fuoriescono nel giardino. I nuovi ambienti interrati, insieme a quelli preesistenti, formano un grande piano sotterraneo, dove si sono ricavate, oltre alla biblioteca e i relativi servizi con il deposito-libri, la sala di riunione e quella per le conferenze e le lauree (Aula Magna). Le imponenti volte dell’atrio della biblioteca e una struttura in laterizio ad archi, conferiscono al luogo una qualità fortemente scenografica. La sala di lettura, di forma irregolare come il giardino soprastante, viene illuminata esclusivamente dai lucernari.
L’area degli antichi sotterranei, prima del restauro usata come magazzino, viene convertita in una successione di ambienti fortemente suggestivi. Nelle salette qui disposte, la sala dei professori e l’Aula Magna, come anche nella sala di lettura della biblioteca, i tagli di luce, determinati dai singolari sistemi di illuminazione e amplificati dagli interni bianchi, si spandono in un intimo bagliore, generando un’atmosfera quieta e contemplativa, tipica delle opere di Aalto. L’Aula Magna può essere considerata una rivisitazione degli ambienti del monastero di Santa Chiara di Francesco di Giorgio (oggi sede dell’Istituto Superiore per le Industrie Artistiche). Si vedano per esempio gli spazi martiniani del refettorio o del dormitorio: nella sala della Facoltà di Legge sono riproposti i tagli delle finestre a orecchie, ma viene ripresa anche la conformazione stessa dei locali coperti con volta a botte e bloccati dalla parete di fondo.
Le pareti sono corredate di antichi dipinti, di iscrizioni e bassorilievi, mentre dei busti marmorei sono distribuiti all’interno delle sale e nelle gallerie di tutto l’edificio. Nei due livelli superiori, le vecchie celle del convento sono trasformate in aule per le lezioni e per la lettura, in spazi collettivi e di servizio. I lunghi corridoi, dalle prospettiche fughe di volte, travalicano la loro funzione di luogo di transito per diventare, con l’inserimento di panchine in legno smaltato incastrate nelle pareti, luogo di incontro. Anche in questi piani, compositi sistemi di illuminazione insieme a pareti riflettenti, danno vita ad insoliti giochi di luce e manifestano, con ambigua evasione, la riacquisita dimensione contemporanea. Il recupero è infine completato da un meticoloso studio degli elementi di design, integrati perfettamente nell’antico convento (si vedano i banchi con sedili mobili delle aule).
Con questo recupero viene definendosi il concetto di riuso di costruzioni del passato, la cui sperimentazione era iniziata con il restauro della dimora feltresca. Il progetto è meno radicale di quelli successivi poiché l’edificio, pur non presentando qualità eccezionali, era caratterizzato da un’«individualità» ben determinata. Tuttavia la realizzazione del piano interrato, se lascia invariate la conformazione tipologica e morfologica del convento, ne muta profondamente il senso. La linearità della facciata principale, accentuata dalle poche fessure-finestre e dall’ingresso, e soprattutto i dieci lucernari denunciano palesemente dall’esterno il moderno rinnovamento avvenuto.













