Quartiere "La Pineta"

Ampio progetto studiato all’interno del PRG del ’64, nell’intenzione di De Carlo avrebbe dovuto segnare il limite all’espansione verso nord della città. Realizzato in più fasi da un consorzio di imprese, il complesso consiste in tre grandi edifici lamellari che entrano nel paesaggio parallelamente alla collina, altri quattro edifici, più discreti, sono posti parallelamente alla strada di monte e connettono il quartiere al contesto urbano.

Anche questo insieme residenziale deriva dal Piano regolatore del ’64. Il progetto esecutivo viene regalato al Comune e affidato ad un consorzio di imprese. La realizzazione è fedele al progetto originale anche se con una riduzione qualitativa per le soluzioni interne e di dettaglio. Il progetto consiste di tre edifici principali che scendono, sfruttando le pendenze del terreno, in direzioni diverse. Altri quattro edifici collocati sull’apice della valle e sfalsati fra loro, seguendo in modo meno imponente le irregolarità del terreno, fungono da raccordo fra i tre elementi lamellari.
Con questo «evento architettonico» si voleva creare un punto di riferimento all’espansione verso nord e al contempo cercare di stabilire un limite e restituire un ordine strutturale alla nuova area; gli edifici rappresentano dunque una delimitazione effettiva allo sviluppo per chi arrivi dalla strada di monte; sarebbero stati, inoltre, «segno della presenza di Urbino» per chi avesse percorso la «nuova» via per Rimini, secondo le previsioni del Piano regolatore. Infine, il piano si proponeva di preservare il bosco addensando il costruito in aree circoscritte, nonché di differenziare il traffico automobilistico da quello pedonale provvedendo alle dovute attrezzature. Sebbene il complesso appaia più pesante rispetto agli organismi precedenti, esso segue un criterio ben preciso. Nel progetto infatti gli ingressi agli edifici lamellari erano collocati sia a valle, come in un normale palazzo accedendovi da strade mai realizzate, che sul tetto come oggi effettivamente avviene. L’idea richiama la logica dei porti mediterranei, come succede a Genova dove «spesso negli edifici si poteva entrare sia dal basso che dall’alto, per cui i tetti non erano un fine ma un principio, non concludevano ma erano invece un esordio»22. Più ancora che ai Collegi qui il tetto praticabile diviene un belvedere, un incedere nel vuoto del paesaggio. Per capire fino in fondo la Pineta, si deve compiere questa passeggiata: «Sto guardando questo paesaggio anche troppo bello, che si consuma. Non devo caderci dentro e smarrirmici come questo vento» (Paolo Volponi, Corporale, 1974).




