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Teatro Raffaello Sanzio

iconvia Matteotti, 80-88
iconComune di Urbino
icon1970-1983
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Il teatro Sanzio di Urbino è stato costruito dall’arch. Ghinelli, a metà dell’800, al di sopra del torrione e della Rampa di Francesco di Giorgio Martini. Deciso dalla Città il suo recupero, la sfida è stata in primis quella di isolarlo strutturalmente dalla stessa Rampa per poterla riaprire. Sul teatro, De Carlo ha agito mantenendo la sala a palchi ottocentesca e trasformando decisamente il foyer: uno spazio di cerniera con l’ambiente urbano, caratterizzato da toni metafisici.

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Il teatro (1845-53) è opera dell’architetto Vincenzo Ghinelli, al tempo noto per la ricostruzione del teatro di Senigallia, sua città natale, e di quelli di Camerino e di Fabriano. Come la gran parte dei teatri civici della provincia dell’Italia centrale sorti sulla scia delle idee rivoluzionarie, la realizzazione del nuovo edificio coinvolse tutta l’area limitrofa. L’intervento si trasformò in un’operazione urbanistica vera e propria che comprese la sistemazione dell’ingresso in piano (alla stessa quota della strada carrozzabile - corso Garibaldi) e l’adeguata disposizione della piazzetta ad esedra davanti al teatro, per facilitare la voltata delle carrozze.
Come si è visto, l’ubicazione del teatro fu stabilita sopra il torrione di Francesco di Giorgio sacrificandone l’estremità in parte già modificata da accrescimenti anteriori. Da questo piano Ghinelli eresse il muro perimetrale semicircolare del teatro, trasformando il torrione in un organismo notevolmente più alto rispetto alle sue dimensioni originarie. Lasciò il piano inferiore dei vecchi spazi, mentre nei corpi laterali furono inserite delle scale per raggiungere l’ingresso ai palchi. La sistemazione urbanistica incluse anche il porticato dell’odierno corso Garibaldi, quale naturale cerniera tra il teatro e la piazza centrale (piazza della Repubblica).
L’intervento ottocentesco oggi risulta perfettamente connaturato all’ambiente urbano, sebbene abbia radicalmente cambiato la disposizione tradizionale. La presenza del nuovo volume, che pure visivamente recide i torricini del Palazzo Ducale, riesce, in ogni caso, ad esaltarne la mirabile verticalità.

Quando, nel 1968, viene deciso il recupero del teatro, De Carlo intuisce che il suo risanamento non sarebbe stato sufficientemente esaustivo, e che invece «bisognava ri-introdurre teatro e Rampa in un nuovo circuito di interessi urbani».
L’originario foyer era stato sistemato, dal Ghinelli, su un piano assiale rispetto alla platea, per risolvere, senza una cesura netta, la variazione esistente tra la geometria di quest’ultima, che riprendeva quella del torrione, e la facciata che seguiva la linea della nuova strada. L’entrata veniva collocata alla fine del porticato dove oggi è l’accesso alla Rampa.
Nel restaurare il teatro, De Carlo si è proposto un duplice fine: riconsegnare alla comunità urbinate un necessario spazio pubblico e preservare un’opera architettonica che, per l’audacia con cui l’artefice l’ha assimilata alle fabbriche rinascimentali, ha assunto un ruolo altrettanto importante nel paesaggio urbano. L’intervento di recupero si attua estendendo in altezza il triangolare foyer attraverso l’apertura dei piani superiori. Vengono così modellati dei ballatoi in cemento armato che sembrano voler riprodurre la struttura dei palchi della sala. Il ridotto diviene una piccola camera verticale; nel foyer (le porte di accesso alla platea) e nei ripiani delle scale che servono i ballatoi vengono collocate delle superfici specchiate. In questo modo, gli specchi se da un lato ampliano gli ambienti che riflettono, dall’altro trasformano gli stessi ambienti in uno spazio irreale, in un non-luogo con le stesse valenze di un palcoscenico. Poche sono le aperture, in ogni caso di grande eloquenza: un lucernario ovale che riprende il margine arcuato dell’ultima balconata e inquadra uno dei torricini del Palazzo Ducale, delle finestre semicircolari neoclassiche e un oblò da cui viene proiettato, in modo quasi virtuale, lo svolgersi della realtà esterna. Occorre qui aggiungere che, nel progetto, foyer e porticato avrebbero dovuto avere la stessa pavimentazione: il portico avrebbe pertanto conservato, come in origine, il suo ruolo di anticamera al teatro e il ridotto avrebbe mantenuto con l’esterno un legame meno incerto.

La scelta del materiale per il ridotto e i ballatoi - piastrelle in ceramica, moquette, corrimano in metallo, intonaco urbinate - mette ulteriormente in evidenza la volontà di un rinnovamento dei significati dell’edificio.
La sala mantiene l’impianto neoclassico; il restauro si effettua, come spiega lo stesso De Carlo, «isolando la struttura lignea dei palchi e poi gettando due camicie di calcestruzzo coassiali, tra il perimetro interno della fabbrica e il perimetro esterno del vaso: al primo cilindro è stato saldato il muro di confine e al secondo cilindro sono state appese le solette dei palchi che, a loro volta, tengono agganciato l’involucro frontale». Per la platea e i palchi sono stati adottati colori e tecniche ottocenteschi. I camerini, per permettere l’apertura della Rampa, sono stati isolati nel corpo laterale dell’edificio. La facciata non è stata modificata; in laterizio, è divisa in due ordini da un architrave sostenuto da semicolonne doriche in mattone. Nella parte centrale dell’ordine superiore è inserito un arco e, lateralmente ad esso, due bassorilievi in pietra raffiguranti delle sfingi.
L’incoerenza tra forma esterna e distribuzione dello spazio all’interno, caratteristica ricorrente in molte opere di De Carlo, in questo caso lega tra loro Rampa e teatro. Se il torrione martiniano, infatti, non fa presagire dal di fuori in che modo lo spazio si snodi internamente, allo stesso modo la facciata neoclassica del teatro nasconde perfettamente lo sventramento verticale avvenuto. L’influenza di Francesco di Giorgio Martini va ricercata nello sviluppo dello spazio architettonico in stretto rapporto con la proporzionalità e la regolarità urbanistica, aspetto evidentemente non sottovalutato nemmeno dal Ghinelli. Ma se la nuova realizzazione cerca di stabilire un rapporto diretto con le architetture di Francesco di Giorgio, la matrice che organizza lo spazio è un enigmatico e attento gioco di rimandi e sottintesi, al quale, come nell’arte pittorica di Piero della Francesca, il visitatore-spettatore è invitato a partecipare.