Fuori le mura
Dopo il recupero della Sede Centrale, una cooperativa di dipendenti dell’Università commissiona a De Carlo la realizzazione di un insieme di abitazioni. È questo il primo intervento di edilizia popolare in Urbino: esso si inserisce in quella ricerca empirica sulle residenze che raggiungerà la sua massima espressione con il Quartiere Matteotti a Terni.
La sperimentazione era iniziata con le case operaie a Sesto S. Giovanni (Milano, 1950): un corpo massiccio di cinque piani, con dieci alloggi su ogni livello. Ogni appartamento era stato progettato con l’intenzione di renderlo quanto più possibile isolato dal resto della struttura. I ballatoi, che servivano gli ingressi, erano stati distaccati dal profilo della facciata proprio perché non rappresentassero un luogo di incontro ma soltanto un corridoio di passaggio. Essi erano stati collocati, insieme ai servizi, verso la strada; le logge private, così pure i soggiorni e le camere, erano invece state sistemate nella zona di miglior veduta, verso «il sole e il verde». Tuttavia gli abitanti, una volta preso possesso delle abitazioni, hanno radicalmente rovesciato le gerarchie dell’edificio sfruttando la posizione delle logge come comodi spazi per l’asciugatura del bucato e, all’opposto, servendosi dei ballatoi come aree collettive dove parlare e far giocare i propri bambini18.
Sarà così che gli organismi successivi, morfologicamente diversi dal primo, cercheranno di provvedere al dovuto isolamento di ogni nucleo familiare e ad un tempo fornire gli utenti di quei luoghi di comunicazione indispensabili per una vita sociale completa. Con l’esperienza urbinate si viene tracciando il forte rapporto dell’architetto con la tradizione moderna, sebbene le opere mantengano ben saldo il vincolo con le proprie radici italiane. I primi sistemi abitativi mostrano gli ascendenti morfologici di Wright, quelli successivi al ’60 paleseranno gli influssi strutturali di Le Corbusier, ma le origini di ognuno sembrano riconducibili alle teorie sull’architettura rurale di Pagano, ovvero a ciò che egli definiva quell’«immenso dizionario della logica costruttiva dell’uomo» dispensatore di forme plastiche strettamente accordate al «suolo» e al «clima», alla «tecnica» e all’economia del luogo. Le strutture residenziali di Urbino assumono una particolare accezione anche per la naturalezza che mostrano nel confrontarsi con la storia. Distribuite nella nuova zona di espansione - esattamente a Piansevero, area analizzata dettagliatamente con i Piani particolareggiati all’interno del PRG - sono studiate cercando un’intrinseca coesione con il centro antico, rispettando quindi le peculiarità della città storica, pur tuttavia assicurandosi un proprio linguaggio contemporaneo.









